Details - Intervista a Carlo D’Orta
Come e quando è avvenuto il tuo approccio al mondo della fotografia?
«Mi sono innamorato della fotografia 35 anni fa, grazie a una reflex Pentax che l’allora mia fidanzata, oggi mia moglie, mi regalò per la laurea. Per due decenni ho fotografato con passione da viaggiatore, in un crescendo tecnico, anche grazie agli studi e ai consigli di buoni maestri, ma con uno stile sempre documentario e tradizionale. Poi ho frequentato corsi di pittura alla Rome University of Fine Arts, approfondendo anche le mie conoscenze sull’arte contemporanea, e un master in fotografia allo IED di Milano. E l’immersione, intellettuale ma anche pratica e manuale, nell’arte contemporanea ha trasformato la mia “visione” fotografica. Si tratta di un paradosso solo apparente. Grazie agli studi e alla pratica artistica, attraverso l’obiettivo non ho più guardato la realtà oggettiva ma un altro mondo, fatto di particolari decontestualizzati, di linee e di forme, di combinazioni cromatiche spesso tendenti all’astrazione. E’ stata la chiave di volta anche professionale, perché questo mio modo di “dipingere con l’obiettivo”, pur restando sempre legato al dato reale oggetto della fotografia, si è rivelato un linguaggio molto personale, che appaga me e colpisce gli appassionati».
Puoi gentilmente spiegare le tue fotografie di Alidem?
«Le mie fotografie proposte da Alidem appartengono alla serie Geometrie Still Life. E’ una serie affine a quella intitolata Biocities perché entrambe raccontano scorci di architetture come se fossero quadri di astrazione geometrica. La differenza è che il progetto Biocities si concentra sulle architetture contemporanee degli ultimi 30 anni, mentre il progetto Geometrie Still Life si concentra sulle architetture classiche e sulla tradizione mediterranea.
Sottolineo che le fotografie di queste due serie non sono collages, ma il risultato di particolari posizioni di scatto e di una forte compressione prospettica cercata con potenti zoom. Gli scatti evitano i campi lunghi, il realismo esplicito, l’immediatezza del raffronto. Al contrario, ampliano la natura del dettaglio, infondendo autonomia ai particolari raccontati. Il soggetto tende all’astrazione, ma questo è solo un prologo d’avviamento per rileggere le nostre città e paesi come texture, come pelli architettoniche ad alta irrorazione “sanguigna”, come superfici modulari di un Genoma urbanistico».
Cosa significa per te fotografia?
«Fotografare per me è come dipingere. Nel senso che quando metto l’obiettivo davanti agli occhi non vedo più la realtà oggettiva, né mi interessa documentarla asetticamente. Vedo invece soggetti pittorici, ora astratti ora figurativi, che cerco di raccontare attraverso la macchina fotografica come momenti di poesia visiva, e non come meri oggetti reali. Attraverso l’obiettivo cerco ciò che l’occhio umano normalmente non vede perché è distratto dal rumore visivo del contorno. Cerco la poesia e la musica dei particolari confusi dall’overdose visuale. Cerco la magia della semplicità e la purezza delle forme essenziali. Oppure, come nelle serie Vibrazioni e Traslazioni, cerco l’esplosione mistica del colore e del movimento congelato dallo scatto».
Quale tecnica usi?
«Fotografia digitale. La prima fase della ricerca artistica si svolge con una Nikon D 800 e uno zoom Nikkor 28-300. Qui l’impegno principale è nell’individuare prospettive, scorci e particolari architettonici che possano tradurre in forme e colori la mia visione pittorica della fotografia. Poi c’è la fase di post-produzione al computer, a volte minima e altre più significativa, ma sempre limitata a due soli aspetti - luce e colori - per valorizzare atmosfere, contrasti, cromatismi. L’idea di quello che sarà il prodotto finale della ricerca fotografico-pittorica è presente sin dall’inizio, dal momento della scelta dell’inquadratura e dello scatto, ma nella seconda il processo creativo si completa appieno. Non intervengo invece mai sulle forme del soggetto fotografato, perché la mia arte rimane fotografia e non vuole entrare nel campo della grafica digitale».
Per caso ti ispiri a qualche fotografo/artista del passato o della contemporaneità per realizzare i tuoi scatti?
«Come ho accennato, tutta la mia ricerca e visione fotografica si nutrono delle reminiscenze, più o meno consapevoli, di artisti che hanno caratterizzato le avanguardie della prima e seconda metà del ‘900, soprattutto nei settori dell’arte astratta. Sicuramente porto con me, negli occhi e nella mente, la pittura di Malevic, El Lissitzky, Mondrian, Rotchko, Peter Halley, e naturalmente la fotografia di Franco Fontana. Le reminiscenze della loro arte, che tanto amo, influenzano il mio stesso modo di vedere: ad occhio nudo intuisco soltanto, ma appena metto l’obiettivo davanti agli occhi la mia mente rielabora la realtà secondo codici astratti che ho probabilmente introiettato dalla loro arte, e da qui nascono la mia scelta delle inquadrature, o la ricerca della profondità di campo più funzionale all’idea di immagine che vado maturando.
Questo vale per le serie fotografiche Biocities e Geometrie Still Life. Ma vale anche per la serie di installazioni che ho intitolato (S)Composizioni-Metafora della Vita, nella quale si mescolano, concettualmente, la scomposizione cubista e (non sembri un paradosso!) la ricerca psichiatrica di Freud e Jung. Per altre serie, come Vibrazioni e Paesaggi Surreali, emerge invece l’influenza mentale di altri movimenti artistici come Futurismo, Espressionismo e, naturalmente, Surrealismo».
A cosa stai lavorando al momento? Quali i progetti futuri?
«Sul piano creativo, sto progettando nuove installazioni della serie (S)Composizioni-Metafora della Vita e sto portando avanti con nuovi soggetti i progetti Biocities e Geometrie Still Life. Si sta inoltre concretizzando il progetto di una mostra al National Museum di Singapore nel prossimo gennaio, nella quale mie fotografie della serie Vibrazioni saranno affiancate da gioielli e orologi d’arte creati, ispirandosi alle mie fotografie, da due artisti del ramo gioielleria e orologeria (Gianluca Castaldi e Riccardo Zannetti). Sono poi in programma mostre personali nei prossimi sei mesi in gallerie a Roma, Firenze e Milano».