FINIMENTI - Intervista a Giuseppe Cocco

Come e quando è avvenuto il tuo approccio al mondo della fotografia?
 «Ho iniziato a fotografare a 10 anni con un apparecchio Rondine della Ferrania regalatomi da mio nonno e con la Zeiss Super Ikonta 4,5x6 cm di mio padre; a 13 anni invece ho cominciato ad occuparmi di fotografia, acquistando le prime poche riviste (Fotografare, Progresso Fotografico, Photo italiana) e i rari libri fotografici. 
Fondamentalmente autodidatta, come mia abitudine nella vita, studio e approfondisco tuttora i testi di tecnica,linguaggio e cultura fotografica, l’opera degli altri fotografi,  aggiungendo visite a mostre. 
Ho iniziato subito a sviluppare e stampare in bianco e nero e così ho continuato per 10 anni, fino che il regista Ermanno Olmi mi consigliò di affiancarlo al colore. 
Già durante gli studi artistici crebbe il mio interesse alla professione e nel 1977, preso il diploma in architettura,cominciai a lavorare con la fotografia come documentarista geografico e fotografo di architettura; il che, nel 1989, mi fece ottenere l'incarico dall'Assessorato all'Urbanistica della Regione Lazio, di realizzare la rilevazione fotografica della situazione urbanistica, paesistica e territoriale dei comuni della regione. Poi ho collaborato trent’anni con riviste ed editori».
 
Puoi gentilmente spiegare le tue fotografie di Alidem? 
«Narro con la fotografia in bianco e nero- e con l'arte grafico pittorica digitale - bellezza, identità materiali e immateriali, atmosfere dell'Italia minore con la M maiuscola, grande giardino emozionale diffuso, dove il tempo si fa spazio.
Pertanto le fotografie scelte da Alidem -muso di una giovenca, cavalli e mucche al pascolo, finimenti e ferri di cavallo- di un genere piuttosto minimalista, appartengono alla rappresentazione del mondo rurale, da sempre il mio set preferito in quanto adeguato alla mia indole.
Le fotografie sono frutto di una post produzione che mescola effetti inchiostro ed acquarello».
 
Cosa significa per te “fotografia”?
«Amante dell’arte pittorica e fotografica, ho sempre inteso la fotografia come una delle tecniche grafiche.Fotografia è scrivere con la luce e scrivere permette di narrare la realtà vissuta, le atmosfere, rendendo concrete le esperienze emozionali materiali e di materiali, i pensieri e le riflessioni, tutto filtrato dalla sensibilità culturale dell'autore, che si fa stile narrativo, ricercando il miglior modo di restituire in maniera sinestetica le suggestioni e le emozioni provocate dalla bellezza e dai miei soggetti. Testimone oculare, osservo, contemplo, medito, scelgo,estrapolo, mi soffermo, racconto ciò che più mi colpisce, coinvolge, emoziona.
La fotografia, è mezzo di comunicazione visiva che, con la sua forza evocativa emozionale, la potenza creativa e testimoniale, supportate da un linguaggio esteticamente “accattivante”, possono indurre alla riflessione, e grazie alla capacità di parlare un linguaggio tra i più comprensibili e coinvolgenti al mondo, cambiare le coscienze e creare opinione pubblica. La Fotografia induce a meditare e riflettere, arricchisce la mente e lo spirito, evitando l’imbarbarimento di singoli e società, l'idolatria del denaro; il suo contributo di bellezza migliora “l’estetica e l’etica del quotidiano” e, quindi, la qualità della vita, per un mondo migliore». 
 
Quale tecnica usi?
 «Come ogni artista, sono sempre insofferente e in eterna ricerca del risultato migliore e di quello che mi soddisfa. Fondamentalmente uso il bianco e nero e l'arte grafico pittorica digitale.
Già dai tempi del liceo artistico amavo il realismo figurativo, contemplativo, un'arte pacata, non strillata, non rivoluzionaria, nel senso richiesto all’arte contemporanea, sempre alla ricerca del prodotto artistico strano, nuovo, innovativo.
Oggi, grazie ai mezzi di elaborazione e manipolazione offerti dalle nuove tecnologie digitali, parto dallo scatto fotografico emozionale, tornando alla tecnica impressionista per cogliere en plein air, non tanto i particolari, quanto impressioni ed emozioni date da forme, volumi, luci, ombre, contrasti, colori e sfumature creati dalla luce naturale e restituiti per mezzo di pennellate elettroniche».
 
Per caso ti ispiri a qualche fotografo/artista del passato o della contemporaneità per realizzare i tuoi scatti?
 «Il mio modo di intendere l'arte fotografica è sempre stato di essere informato ed interessato a tutte le arti e a tutti i fotografi, anche quelli che esulano dai miei temi.
Pertanto, se devo sintetizzare, dirò che per il paesaggio urbano rurale ed antropizzato italiano, e per il mondo rurale,mi ritrovo nella pittura dei macchiaioli, di Segantini, Canaletto, Boldini, Bellotto, Guardi; ma è anche la tecnica dell’acquarellista Aldo Riso che cerco di raggiungere.
Tra i fotografi, certamente rientro nel solco dei fotografi di architettura e paesaggio, alcuni dei quali coetanei contemporanei e "concorrenti", Gabriele Basilico, il più vicino, ma anche Mimmo Jodice e Luigi Ghirri; mentre per la fotografia rurale ed antropologica, l'amico Mario Cresci».
 
A cosa stai lavorando al momento?
«In questo momento, anche a causa della crisi economica che rende difficile trovare interlocutori che vogliano impegnarsi in progetti espositivi, lavoro molto al computer, possedendo un vasto archivio che mi permette di elaborare le immagini.
Approfitto per affinare le mie tecniche di post produzione pittorica».
 
Quali i progetti futuri?
 «Il primo progetto, dal quale dipendono tutti gli altri, è dedicarmi per il resto della vita, alla mia Penisolabella, l’Italia minore con la M maiuscola, a rischio di estinzione.
Quindi attraverso una collaborazione di impegno artistico etico estetico e civile con l’associazione Italia Nostra, mi dedicherò al racconto per immagini dei paesaggi sensibili - urbani, rurali ed antropizzati - ad iniziare da Roma e provincia: ville storiche, parchi e casali, fiumi elitorali, Vie Consolari ed Agro Romano.»