Fotografia dall'anima - Intervista a Sara Piazza
Come e quando è avvenuto il tuo approccio alla fotografia?
«Ho iniziato ad amare la fotografia da bambina, quando “rubavo” la Canon analogica ai miei genitori per fotografare tutto ciò che attirava la mia attenzione. Poi sono cresciuta e nel 2005 mi sono iscritta all’Istituto Italiano di Fotografia, durante il quale sono rimasta folgorata dallo still life; prima la mia concezione di fotografia era legata per lo più alla stampa, alla street photography e al paesaggio».Arriviamo ora alle fotografie di Alidem e partiamo dalla spiegazione della serie Mente…
«Per spiegare queste opere è necessario fare un passo indietro. Diversi anni fa ho aperto un blog personale, una specie di diario, in cui pubblicavo quotidianamente una foto significativa della giornata accompagnata da un breve testo. Poi con il passare del tempo ho cominciato a sentire un limite a tutto ciò, fino a che un giorno, seduta in un caffè aspettando una telefonata importante, ho compreso il vero significato della fotografia per me: esternare l’intimità. Dunque ho cominciato a fotografare avviando quasi inconsapevolmente quella che oggi è una serie di trittici ancora in evoluzione. In definitiva posso affermare che tutto il mio lavoro è una raffigurazione di uno stato d’animo personale, in cui però si possono riconoscere tutti».
Perché lavorare proprio sul trittico?
«Perché tale configurazione mi consente di trasporre in fotografia l’analisi del pensiero, quale modalità di ragionamento che mi caratterizza da sempre. Un elemento ricorrente delle mie opere sono i fiori, o i pezzi dei fiori, perché nella loro fragilità mantengono una certa perfezione».
Come avviene la produzione di tali fotografie?
«Innanzitutto elaboro il pensiero - prima come progettazione mentale poi sottoforma di bozzetto grafico – scatto la fotografia e solo quando ho scritto un testo pertinente l’opera può dirsi ultimata».La composizione di Aequilibrium invece è alquanto bizzarra…
«L’opera è collocata in orizzontale, mentre le fotografie all’interno presuppongono un punto di vista verticale. Aequilibrium nasce durante un viaggio in Camargue da me intrapreso nel novembre del 2015. In generale, le due branche principali in cui mi muovo sono il paesaggio e lo still life. Il paesaggio ha un effetto devastante su di me, nel senso che, rimanendo spesso senza parole di fronte a ciò che vedo, mi riesce sempre difficile esprimere ciò che provo. In pratica, ho voluto svincolarmi dalla classica posizione dell’osservatore, ponendo contemporaneamente me stessa come elemento di misura del paesaggio. Ho scelto di verticalizzare la linea dell’orizzonte per farla corrispondere con la mia persona, nel tentativo di creare una sorta di fusione tra elementi che altrimenti non avrebbero nulla a che vedere l’uno con l’altro».
A questo punto rimangono You don’t see me e Guardare attraverso, un dittico. Che cosa raffigurano?
«Anche in questo caso ho lavorato sul paesaggio, ma utilizzando la pellicola che di questi tempi è abbastanza rara. Le fotografie sono state scattate a Miami in una giornata di pioggia, lo stato d’animo non era particolarmente gioioso a causa di una storia di incomprensione verbale e mentale con una persona lontana. Le immagini risalgono al 2014, ma fanno parte di una ricerca sul paesaggio che porto avanti da molti anni e che credo non terminerò mai».
Hai per caso dei modelli a cui ti ispiri?
«In fase produttiva non mi ispiro a nessuno, tuttavia un artista che stimo profondamente è Irving Penn: nel settore dello still life credo sia senz’altro il più incisivo. Poi ovviamente cerco sempre di tenermi aggiornata a proposito di ciò che di più saliente avviene nel mondo della fotografia, leggo e vado a vedere mostre, anche perché non ne potrei fare a meno, è parte integrante della mia vita».
Al momento a cosa ti stai dedicando?
«Al momento ho in cantiere nuovi trittici, per i quali sto progettando e analizzando alcune immagini. Come già ho accennato, anche il paesaggio rimane uno dei miei punti fermi, al quale continuo a rivolgere la mia attenzione».